martedì 22 settembre 2009

Fermare l'immigrazione, direttamente all'origine

“Vogliamo aiutare gli immigrati, a patto che stiano in Africa”. Così disse Bossi, Ministro della Repubblica Italiana. Questa riflessione è nata come risposta alle accuse a lui rivolte da parte di molte agenzie umanitarie (tacciate dalla stampa italiana), in seguito alla triste vicenda dei profughi del Corno d'Africa morti disperatamente in mare. La logica che sta dietro alle sue parole è molto profonda e ragionevole: non dobbiamo certo incentivare il flusso migratorio di questi profughi, ma neppure cacciarli a mare. Sarebbe molto meglio fare in modo da placare le piaghe che generano in loro la necessità, prim'ancora del desiderio, di vendere tutto e partire alla ventura.

Già, ma come aiutarli? Quali sono i progetti del Paese Italia riguardo a questo? Da questo punto di vista, i Governi si assomigliano molto, all'interno così come all'esterno dei confini nazionali: sempre pronti a stanziare finanziamenti durante meeting internazionali quanto altrettanto rapidi nel bloccarli non appena i riflettori si sono spenti.


Ma attenzione: questo non è forzatamente un aspetto negativo. Molte volte, durante le conferenze stampa in cui si annuncia lo stanziamento di questi finanziamenti, non sempre è ben chiaro chi sia il beneficiario degli stessi. Si fa presto a dire “diamo soldi all'Africa”, immaginando la stessa come un grosso salvadanaio nero dentro al quale far tintinnare i nostri pochi spiccioli; ben più difficile, invece, è portare questo denaro alla gente che davvero ne ha bisogno.


Nella maggior parte dei casi, non è sensato dare tali soldi al governante di turno. Molto spesso, infatti, gli stati del Continente Nero sono dilaniati da conflitti interni, e tali soldi finirebbero solo per finanziarli in tali 'opere'. Questi contrasti sono generati da separazioni di comunità a cavallo di due stati confinanti (le cui ragioni sono state esposte nel post di ieri), alla violenta ricerca di una (pur sacrosanta) riunificazione; in altri casi, le importanti risorse di cui l'Africa è dotata attraggono interessi (e capitali) delle potenze Occidentali, intenzionate ad usufruirne al minor costo possibile: a tal fine, finanziano l'ascesa di un gruppo di non meglio specificati ribelli, a patto che una volta raggiunto il potere concedano l'uso delle risorse a prezzo di favore. Dar soldi cash agli Mugabe o Mobutu di turno equivarrebbe a finanziare i loro arsenali bellici: un po' come ha fatto Gheddafi l'autunno scorso, che dopo aver ricevuto 5 miliardi di dollari dall'Italia ha fatto shopping di carri armati russi per un valore di 4 miliardi... O come dimenticare i 4 appartamenti parigini della moglie di Arafat, acquistati con i finanziamenti internazionali alla Palestina...


Tenderei ad escludere queste vie, purtroppo percorse troppe volte in passato, coi risultati di cui sopra. Bisogna investire sul territorio, sui prodotti, sulla merce. E, da questo punto di vista, noi possiamo fare molto: anche nel quotidiano, senza uscire dalla nostra routinaria esistenza. A partire dalla spesa domestica.

Sparsi in quasi tutto il territorio, sebbene non in modo totalmente capillare, si possono trovare i negozi affiliati alla rete “Fair Trade” (Altromercato è la catena più diffusa), attività commerciali che vendono esclusivamente prodotti contrassegnati dal marchio (e dall'etica) Equo e Solidale. Il capo d'abbigliamento che si indossa, piuttosto che il cibo che si consuma, sono prodotti a partire da materie prime ottenute da contadini, allevatori o artigiani di paesi del Terzo Mondo, ed acquistati a prezzo per loro vantaggioso dalle organizzazioni Fair Trade. In molti casi, soprattutto nei prodotti di piccolo artigianato, l'intero ciclo produttivo si compie nei paesi d'origine; a noi non resta che comprarlo. Personalmente, sono solito acquistare cioccolata, tè, tisane, biscotti e marmellate, trovandoli tutti ottimi: vi suggerisco pertanto di andare a visitarli.


Qualora ciò non bastasse a saziare la vostra sete d'altruismo, abbiamo a disposizione una potentissima risorsa, purtroppo pubblicizzata pochissimo qui in Italia: Kiva. Kiva è una società americana nata a San Francisco (California), che basa la sua filosofia sul MicroCredito, concetto che è stato premiato con un recente Nobel per la Pace. Il MicroCredito ribalta il concetto di prestito cui siamo abituati noi: il denaro viene prestato a persone proponenti un progetto valido, eticamente condivisibile e socialmente utile, ad un tasso irrisorio. L'imprenditore ha così per le mani una (pur piccola) somma con la quale riesce ad attuare il progetto ideato, spessissimo portandola a termine, ricavando del denaro da girare in parte alla banca, ed in parte per auto-finanziare una continuazione dell'attività, o – perché no? - un suo ingrandimento. Il tasso bassissimo permette agli imprenditori di ripagare serenamente il prestito (avendo così diritto ad un nuovo eventuale finanziamento), e di guadagnare una somma con cui continuare l'attività ed innalzare il livello di vita proprio e della famiglia.


Kiva fa esattamente questo. Tramite un conto Paypal (lo stesso adoperato per far shopping su moltissimi siti online, come eBay, Skype, e via dicendo), ogni cittadino sulla faccia della Terra è in grado di finanziare (a tasso nullo), con un minimo di 25 dollari americani, un contadino, o un muratore, o un allevatore, o un farmacista, intenzionato ad aprire, proseguire o ingrandire la propria attività. Prima di trasferire il denaro, ognuno di noi è in grado di leggere il progetto del richiedente, informarsi sull'associazione ONLUS che si fa carico di portargli/le il vostro denaro, conoscere alla perfezione quando ripagherà il debito, e via dicendo. Saremo del resto in ogni istante a conoscenza di quali altri Terrestri stiano finanziando lo stesso imprenditore (qualora il denaro da voi prestato dovesse non essere sufficiente), di dove questi siano collocati, e via dicendo. Così, prestiamo il denaro, attendiamo che le rate ci vengano versate sul nostro conto Kiva, fornendo denaro utile per essere ri-prestato (qualora non volessimo ritirarlo a costo zero sul conto Paypal).


In pochi (e documentati) casi, l'imprenditore potrà non essere in grado di ripagare tutta la somma pattuita, a causa spesso di conflitti in quelle zone. Ma il tasso di insolvenza è comunque più basso di quello che si verifica in Italia, a carico delle banche ordinarie... Sarete ad ogni modo informati se l'intermediario ONLUS opera in una zona soggetta a pericoli di tal genere.


E' il primo esempio al mondo di beneficenza in cui sai dove il denaro va a finire; in cui il denaro ti torna indietro, pronto per essere adoperato nuovamente, magari per altre opere di beneficenza; in cui possiamo davvero far partire l'economia di quelle povere zone.


Abbiamo il potere di far vivere una famiglia in condizioni migliori. E senza neppure rimetterci un euro.




2 commenti:

fèmm,  24 settembre 2009 alle ore 16:58  

Grande pol! posso inoltrarlo?

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