lunedì 19 maggio 2008

Evviva le sabbie bitumose!!!

Vi riporto una notizia battuta oggi dalle agenzie:

POINTE NOIRE (Congo) - Colpo grosso dell'Eni nel cuore dell'Africa. Il giacimento individuato non lontano dalla costa atlantica nel Congo ex francese potrebbe, in effetti, almeno raddoppiare le riserve di greggio di cui dispone, oggi, nel mondo, l'azienda italiana.

Il giacimento di Tchikatanga, tuttavia, non offre tuttavia il tradizionale greggio a cui siamo abituati. Si tratta di petrolio che tecnicamente viene definito "non convenzionale", come quello canadese o venezuelano: sabbie bituminose, da cui estrarre petrolio è, in linea di principio, più difficile e costoso dei pozzi normali. Ma le riserve sono importanti.

Su un'area di 100 chilometri quadrati, i tecnici dell'Eni valutano la presenza di riserve fra i 500 milioni e i 2,5 miliardi di barili (attualmente le riserve mondiali Eni, per il solo greggio, sono valuabili in 3-4 miliardi di barili). La concessione ottenuta dall'Eni è, però, di quasi 1.800 chilometri quadrati.

I tecnici Eni si affannano a spiegare che non è affatto detto che quanto individuato nei primi cento chilometri quadrati possa essere moltiplicato per 18, dando un totale ipotetico di decine di miliardi di barili. Sembra, tuttavia, realistico aspettarsi che il giacimento possa contenere almeno riserve sufficienti a raddoppiare quello che è il patrimonio mondiale dell'azienda. In ogni caso, è prevista una forte crescita.

Un'idea più chiara si avrà fra un anno, quando saranno state compiute esplorazioni su un'area più vasta della concessione. Su un piano più generale, la scoperta di sabbie bituminose nel continente africano è una svolta a cui l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, attribuisce un rilievo "mondiale". Finora, infatti, queste fonti non convenzionali di petrolio erano state individuate nello stato di Alberta, in Canada, in Venezuela lungo il corso dell'Orinoco e in Russia.

Trattare questo petrolio del Congo, in modo da renderlo adatto alla raffinazione, secondo le prime valutazioni Eni, dovrebbe costare appena di più di quello venezuelano, ma solo un terzo di quello canadese: intorno ai 20 dollari a barile, quindi anche assai meno del petrolio estratto nei pozzi off shore. Tuttavia, se la scoperta del giacimento di Tchikatanga è la conferma che di petrolio da trovare ce n'è ancora, le fonti non convenzionali non costituiscono una risposta facile alla sete mondiale di petrolio. I soli problemi ambientali (estrarre le sabbie bituminose da trattare è come lavorare in una miniera a cielo aperto) limitano il flusso del petrolio che si può produrre.

I tecnici dell'Eni prevedono una previsione iniziale di 40 mila barili al giorno nel 2012 che potrebbero diventare, a regime, 100-200 mila barili, ben lontani dal mezzo milione di barili al giorno dei megagiacimenti che oggi forniscono il grosso del greggio mondiale.



Bene, verrebbe da dire, potremo permetterci ancora per molto di andare avanti come siamo soliti fare: chi ci spinge a cambiare? Del resto troveremo altro di questo petrolio, da qui in avanti...
Però vorrei sapere se non sarebbe stato idoneo approfondire anche i dettagli ambientali, piuttosto considerevoli se si tiene in mente il fatto che il tar oil immette in atmosfera dalle 3 alle 5 volte più CO2 rispetto ai carburanti tradizionali. Questo solo considerando il processo di combustione, non quello di estrazione e trattamento che è molto più complicato, costoso ed inquinante del classico oil mining. Si legga l'articolo su Wiki a riguardo.
Forse ci dimentichiamo che il Canada, uno dei maggiori produttori di Tar Oil, lo vende agli USA anziché consumarlo nel mercato interno - chissà come mai.
Si legga a questo proposito quanto la Corte Canadese ha sentenziato.

Intanto, sentite la parte centrale di questo filmato, e scoprirete qualcosa di curioso sulla storia della pece, un'altra tra queste nuove "sorgenti di energia":



Meno male che almeno a questo errore si è posto rimedio.

Forse è troppo difficile parlare di solare termodinamico, eolico, nucleare, biomasse...

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