lunedì 23 febbraio 2009

Razzismo di Sant'Antonio

Alcuni giorni fa ho ricevuto, via posta elettronica, una delle tante catene di Sant'Antonio che spesso girano sulla rete. Questa, tra le tante, si distingueva per lo spirito razziale che aveva spinto il creatore ad iniziarla. Più nello specifico, si raccontava la storia di un personaggio che, spinto da buono spirito, costruiva una casetta per uccelli, dando loro in pasto alcune briciole. Fatto questo, dopo i primi giorni di lieta convivenza uomo-volatile, ci si lamentava della eccessiva, crescente, arrogante presenza di tali animali, che erano soliti sporcare con i loro escrementi e piumaggio il giardino e la relativa mobilia del padrone di casa, il quale era stato costretto a sospendere la fornitura di briciole per liberarsi del fardello, pena una continua sopportazione dei molesti volatili. Similmente, si diceva ai lettori che sta accadendo la medesima cosa con gli immigrati.
“Perché dobbiamo dare a loro il cibo che abbiamo prodotto, le ricchezze che possediamo, le case che costruiamo?”, all'incirca così diceva il messaggio, sostenendo che se non ci si fosse liberati di tale fardello avremmo dovuto continuare a spalare i loro escrementi.
Per com'era stata impostata la storia, per come si andava a concludere, irrazionalmente si era fortemente tentati a seguire questa linea di pensiero. Se non che...
Già, c'è dell'altro, che il fazioso redattore della catena ha (volutamente?) ignorato, al fine di portare i lettori a pensarla come lui. Perché ci si dovrebbe chiedere CHI produce il cibo che siamo soliti mangiare – extracomunitari pagati a 50 centesimi all'ora, per lavorare nei campi 16 ore al giorno sotto il sole estivo -; ci si dovrebbe chiedere SU CHI si basano le ricchezze che possediamo, se non in buona parte sullo sfruttamento del Terzo Mondo e delle risorse che esso possiede, sul lavoro minorile che ci fornisce capi d'abbigliamento debitamente firmati; ci si dovrebbe chiedere chi costruisce le case dentro le quali viviamo, se non in gran parte operai extracomunitari, senza contratto regolare né assicurazione né misure di sicurezza, per arricchire un imprenditore (Italiano) che fa i denari sopra la loro pelle.
Ci si dovrebbe chiedere tutto questo, e molto altro. Ma non fa comodo, ovviamente, perché lo straniero è e deve continuare ad essere il capro espiatorio del crimine commesso in Italia, così come lo erano le streghe e gli eretici nei gloriosi periodi dell'Inquisizione, e – più recentemente – come...come lo eravamo noi Italiani, in seguito alle grandi emigrazioni dei secoli scorsi avevamo raggiunto in gran numero Stati Uniti e Germania. In quei paesi, soprattutto negli States, avevamo portato criminalità (organizzata e non), creando l'etichetta “Italians = Mafia” che ancora ci troviamo attaccata addosso.
Ora, se ad ognuno di noi fa piacere essere chiamato mafioso all'estero, anch'essendo un onesto lavoratore, allora si chiami pure criminale qualsiasi extracomunitario. Però vorrà dire che “uno dei tuoi” ha sciolto bambini nell'acido, ha violentato e tagliato a pezzi intere famiglie solo perché il loro vecchio era della fazione opposta, ha distrutto il tuo negozio e bruciato la tua casa solo perché tuo fratello si rifiutava di pagare il pizzo.
Ti piace, ora, il razzismo?

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